intervista al Prof. Enrico Giovannini

10/06/2023

ENRICO GIOVANNINI (ASviS): DOBBIAMO CAMBIARE MODELLO DI SVILUPPO SE VOGLIAMO ASSICURARE LA CRESCITA ECONOMICA MONDIALE
NEL RISPETTO DEI LIMITI PLANETARI. SU ALCUNI GOAL DELL’AGENDA 2030 L’ITALIA VA ADDIRITTURA IN RETROMARCIA.

 

Enrico Giovannini, ordinario di statistica economica, co-fondatore e direttore scientifico dell’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile (ASVIS), già ministro dei governi Letta e Draghi, ha accettato di parlare con noi dopo il Festival che l’Alleanza ha proposto in tutta Italia dall’8 al 24 maggio scorso. Dibattiti, idee, studi sviluppati in circa 1.000 eventi per concludersi in un confronto con il Governo e il Parlamento presentando una serie di proposte trasversali di governance per la transizione ecologica in ordine all’Agenda 2030.

Professor Giovannini, lei è stato anche presidente dell’Istat, conosce bene le dinamiche demografiche. Come si conciliano le stime demografiche per il futuro con la necessità di tutela del Pianeta in un’ottica di Ecologia Integrale: ovvero di “interconnessione” tra uomo e natura?

 

Nel 1972 il Club di Roma pubblicò il famosissimo rapporto “Limiti dello Sviluppo”, accolto tra l’altro, con grande scetticismo da parte delle leadership economiche e politiche dell’epoca. Preconizzò uno scenario di decrescita demografica dopo il 2020, quando saremmo arrivati a contare 8 miliardi di abitanti, esattamente dove siamo oggi, a causa di un progressivo depauperamento delle risorse disponibili: ebbene, oggi quelle curve sono quasi perfettamente sovrapponibili con i dati effettivi. Il problema che abbiamo di fronte è quindi: come evitare che si verifichi il collasso demografico, economico e sociale previsto all’epoca? Con la globalizzazione abbiamo fatto crescere il benessere per miliardi di persone, ma abbiamo utilizzato un modello di consumo occidentale che non è sostenibile se utilizzato generalmente da tutta la popolazione mondiale. Pensi che proprio nei giorni scorsi, esattamente il 15 maggio, l’Italia ha raggiunto il cosiddetto “Overshoot day 2023”. Significa che il nostro Paese è già in ‘debito ecologico’ perché ha già esaurito le risorse naturali rinnovabili messe a sua disposizione dal Pianeta per quest’anno. Tutto questo non è sostenibile.

 


E’ evidente che serve un cambio drastico del nostro “vecchio” modello economico, oggi quasi completamente globalizzato. Un tempo ci si chiedeva: che fare?

 

La pandemia prima, la guerra russo-ucraina e la crisi energetica poi ci impongono di accelerare il passaggio da una prospettiva di rischio di collasso (perché rifiutiamo la decrescita felice) all’unica opzione possibile descritta dall’Agenda 2030 approvata dall’Onu nel 2015, ovvero una strategia globale di sviluppo sostenibile. Dobbiamo cambiare modello e non basta preoccuparsi soltanto della crescita del Pil (Prodotto interno lordo).

 

Sta di fatto che il segretario dell’Onu António Guterres, proprio nei giorni scorsi, ha avvertito che solo 12% dei target dell’Agenda sono sulla buona strada. Tanto per citare un numero: abbiamo ancora oltre 30 milioni l’anno di “profughi ambientali”. Il mondo è ancora alle prese con povertà estreme, diseguaglianze, ripetute crisi ambientali, compreso guerre e conflitti sociali…

 

L’ultimo rapporto del Club di Roma, “Una Terra per Tutti”, pubblicato lo scorso anno, aggiorna, con tecniche più sofisticate, le valutazioni del 1972 illustrando due scenari. Uno definito “Too little, too Late” (troppo poco, troppo tardi) e l’altro “The giant leap” (il salto da giganti). Il primo prende in considerazione ciò che accadrebbe se si andasse avanti con il modello attuale e cambiando solo alcuni aspetti e il risultato sarebbe chiaro: l’aumento del rischio di collasso diffuso. Il secondo, molto più impegnativo, ma anche in grado di cambiare rotta, favorirebbe il contrasto alle povertà, l’emancipazione femminile e sarebbe fondato su un sistema alimentare sano e su energia pulita e rinnovabile. Nel primo caso le temperature globali salirebbero di 2,5 gradi entro la fine del secolo, con tutte le drammatiche conseguenze climatiche e di vivibilità. Nel secondo verrebbero contenute le temperature anche fino a 1,2 gradi entro il 2027. Certamente abbiamo fatto l’errore di voler diffondere il benessere economico per le popolazioni di tutto il mondo continuando a usare il nostro modello consumistico, mentre è evidente che ne serve uno completamente diverso che non distrugga gli ecosistemi, anche perché di tale distruzione saremmo noi le prime e maggiori vittime. 

 

Dovremmo agire e anche agire in fretta. E allora parliamo del nostro Paese. Come può influire l’aver inserito nella Costituzione gli articoli di tutela dell’ambiente anche nell’interesse delle future generazioni? Può diventare un boomerang capace di rallentare ogni messa a terra di progetti, magari nella direzione della sostenibilità, ma che intervengono sull’ambiente”?

 

Chiede all’oste se il vino è buono. Io sono tra quelli che ha lavorato per questi nuovi articoli e sono convinto che l’aver introdotto in Costituzione l’interesse delle future generazioni rappresenti un cambiamento epocale. Molte costituzioni hanno il concetto di tutela dell’ambiente, ma non hanno quello di tutela delle future generazioni. Noi così siamo scattati molto avanti, ponendoci sulla frontiera internazionale. D’altra parte, è relativamente facile, anche per i politici (e in Italia non lo facciamo), prendersi cura dei nostri figli e dei nostri nipoti che sono con noi. Ma pensare e agire anche nell’interesse delle future generazioni, cioè di coloro che ancora non sono su questa Terra e che, come tali, non votano e non voteranno nei prossimi vent’anni, richiede un cambiamento profondissimo, interiore ed etico. Ecco perché dico spesso che abbiamo portato la “Laudato Sì”, e il principio di ecologia integrale, nella Costituzione italiana.

 

E’ certo che non saremo “costretti” a tutelare le future generazioni a scapito delle nostre viventi?

 

Lo spero. D’altra parte, questo principio non cancella gli altri citati nella Costituzione, che restano dove sono e devono essere bilanciati con una nuova prospettiva. Semplicemente, d’ora in poi dovremo occuparci anche della tutela delle future generazioni e non solo della nostra, cosa che abbiamo fatto da due secoli a danno di quelle future.

 

Finiamo tornando a noi: l’Agenda 2030. Ma siamo anche alle prese con il Pnrr. Con i regolamenti europei e i programmi nazionali per la decarbonizzazione, il rinnovo delle fonti energetiche e quant’altro. A che punto siamo secondo lei, visto che il 2030, di fatto, è domani?

 

Come Italia, stiamo andando bene sull’economia circolare perché abbiamo aziende molto innovative, D’altra parte, l’attuazione del Pnrr e la definizione del REPowerEU richiedono decisioni urgenti per accelerare la transizione ecologica e verso un modello di sviluppo sostenibile, seguendo gli impegni assunti dall’Italia per realizzare l’Agenda 2030. Con ASviS lottiamo perché vengano presi seriamente i 17 Obiettivi dell’Agenda e i 169 sotto-obiettivi, ma su molti non ci siamo: continuiamo ad avere degrado degli ecosistemi, sia terrestre che marittimo. Sul fronte sociale arranchiamo e le disuguaglianze aumentano. Per quanto riguarda salute e istruzione la pandemia ci ha, addirittura, spinti indietro. Complessivamente siamo lontani dagli Obiettivi prefissati. Continueremo a sgolarci, non abbiamo alternative, e continueremo a fare proposte e a mettere a disposizione dei decisori, pubblici e privati, i nostri saperi e l’attività informativa di oltre 300 organizzazioni della società civile italiana. 

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